Odnośniki
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che stava per accadere, ma non della direzione che le cose avrebbero pre-
so, e se era una buona idea o non, piuttosto, un terribile sbaglio. Betsey era
più calda e incoraggiante di quanto mi fossi aspettato. Sapeva anche ascol-
tare.
«Scommetto che in realtà tu sei molto abile nel bilanciare lavoro, fami-
glia e amici. Anche il tuo umore mi sembra a posto», mi disse.
«Ultimamente non riesco a trovare il giusto equilibrio col lavoro. Quan-
to all'umore, il tuo mi sembra ottimo. Sei entusiasta, positiva. Piaci alla
gente. Ma ti sarai già sentita dire queste cose un'infinità di volte.»
«Non tante da non volerle udire di nuovo.» Sollevò il proprio bicchiere.
«Brindo allo spirito positivo e allo spirito del vino.
E a una condanna a vita più lunga della sua vita stessa per il nostro amico,
il Mastermerda.»
«Che resti in galera più a lungo della sua stessa vita, il Master-merda»,
brindai a mia volta, alzando il boccale di birra.
«Eccoci dunque nella grande Hartford», disse Betsey, fissando lo sfoca-
to panorama di luci cittadine. La osservai per un attimo, con l'assoluta cer-
tezza che lei volesse essere osservata da me.
«E ora? «esclamai.
Lei scoppiò di nuovo a ridere e la sua ilarità era contagiosa. Il suo bel
sorriso dava risalto agli splendenti occhi scuri. «Che cosa intendi dire, con
e ora
?»
«E ora? Nient'altro che questo», scherzai. «Sai esattamente a che cosa
alludo.»
Lei stava ancora ridendo. «
Devo domandartelo, Alex. Io non ho scelta, a questo riguardo. Non sono libera
di decidere. Ci siamo. Potrebbe essere imbarazzante, ma non m'importa. Va
bene. Ora, vuoi che andiamo in ca-
mera mia? Mi farebbe piacere. Non finirai invischiato, fidati. Non sono il
tipo che si appiccica.»
Non sapevo che cosa rispondere a Betsey, ma non le dissi di no.
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Mentre uscivamo dal bar dell'albergo, non pronunciammo una sola paro-
la. Mi sentivo vagamente a disagio, anzi molto più che vagamente.
«In un certo senso non mi dispiace avere legami», le dissi alla fine. «A
volte sono felice che qualcuno mi si appiccichi.»
«Lo so. Per questa volta lasciamoci semplicemente trascinare dalla cor-
rente. Sarà un bene per entrambi. Potrebbe essere un piacevole diversivo.
Questa situazione è venuta costruendosi a poco a poco ed è un bel vantag-
gio.»
Un bel vantaggio.
Non appena ci trovammo nell'ascensore dell'albergo, Betsey e io ci ba-
ciammo per la prima volta e fu un bacio tenero e dolce. Memorabile, come
dovrebbero essere tutti i primi baci. Lei fu costretta ad alzarsi in punta di
piedi per raggiungere le mie labbra. Non me ne sarei dimenticato.
Ci eravamo appena sciolti dall'abbraccio quando lei iniziò a ridere... quel
suo abituale scoppio d'ilarità. «Non sono così
bassa. Supero il metro e ses-
santa, anzi sono quasi un metro e settanta. È stato piacevole? Parlo del. ba-
cio.»
«Mi è piaciuto baciarti», risposi. «Ma non si può dire che tu non sia pic-
cola di statura.»
La sua bocca profumava di menta dolce e quel sapore indugiava nel mio palato.
Mi chiesi in quale istante avesse fatto scivolare in bocca una men-
tina. Era stata furtivamente veloce. La sua pelle era, al tatto, liscia e mor-
bida. I capelli neri risplendevano e le ondeggiavano morbidamente sulle
spalle. Non potevo negare di sentirmi attratto.
Ma non bastava. Avevo l'impressione che per me i tempi non fossero ancora
maturi. Era fin troppo, e fin tròppo presto.
La porta dell'ascensore si aprì al suo piano con un tonfo. Provai una sca-
rica di anticipazione e, forse, una fitta di paura. Non avevo idea di quali
sa-
rebbero state le conseguenze, ma mi rendevo conto che Betsey Cavalierre
mi piaceva. Volevo tenerla stretta a me, sapere che tipo di persona fosse, che
cosa volesse dire stare con lei, come funzionasse la sua mente, quali fossero
i suoi sogni, che cosa avrebbe detto dopo.
Betsey esclamò: «
C'è Walsh!
»
Rientrammo in tutta fretta nella cabina dell'ascensore. Mi sentivo il cuo-
re stretto in una morsa.
Maledizione.
Lei si voltò verso di me e cominciò a ridere. «Santo cielo, non c'è nessu-
no là fuori. Non essere tanto nervoso!
Io, però, lo sono.
»
A quel punto stavamo ridendo tutti e due. Lei era proprio un tipo diver-
tente. Forse, per il momento, ciò poteva bastare. Ero felice di trovarmi in
sua compagnia, di ridere come stavamo facendo.
Appena entrati nella sua camera, ci abbracciammo. Lei sembrava quasi emanare
calore. Feci scorrere piano le mie dita sulla sua schiena e Betsey mugolò di
piacere. Mossi il pollice a disegnare minuscoli circoletti, mas-
saggiandole delicatamente la pelle, e sentii che il respiro le si faceva più
serrato. Anche il mio cuore batteva più rapido.
«Betsey, non posso farlo», sussurrai. «Non ci riesco, non ancora.»
«Lo so», bisbigliò di rimando. «Ma tienimi stretta a te. È bello restare così
abbracciati. Parlami di lei, Alex. Ti puoi confidare, con me.»
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Pensai che con ogni probabilità aveva ragione. Potevo confidarmi con lei e
persino lo desideravo. «È come ti ho detto, mi piacciono i legami.
Nell'intimità sono formidabile, ma ritengo che debba essere conquistata poco
per volta. Ero perdutamente innamorato di una donna chiamata Chri-
stine Johnson. Eravamo proprio una bella coppia. Non c'era mai un istante in
cui non desiderassi di stare con lei.» Scoppiai in lacrime. Non volevo, ma i
singhiozzi scaturirono dal nulla. Piansi a lungo, senza riuscire a smet-
tere. Avevo il corpo scosso dai singulti, ma sentivo Betsey stringermi a sé,
con forza, rifiutandosi di lasciarmi andare.
«Mi dispiace», riuscii finalmente a farfugliare.
«Non è il caso», ribatté. «Non hai fatto nulla di sbagliato. Assolutamen-
te. Anzi, non ti saresti potuto comportare meglio.»
Mi ritrassi leggermente e la guardai in viso. I suoi bellissimi occhi noc-
ciola scuro erano umidi di lacrime.
«Abbracciamoci e basta», mi disse. «Credo che ne abbiamo bisogno en-
trambi. È bello stare così stretti l'uno all'altra.»
Restammo abbracciati a lungo, poi feci ritorno nella mia stanza.
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Il Mastermind si sentiva così dannatamente fiducioso, ed eccitato, da non
riuscire quasi a controllarsi.
Quella sera, lui era lì, a Hartford.
Non provava più alcun timore. Nessuno gli faceva paura. Né l'FBI né una qual-
siasi delle persone coinvolte in quel caso.
Come rendere ancora più schiacciante la sua vittoria?
Come reinventa-
re se stesso? Erano quelle le sue uniche preoccupazioni. Come diventare sempre
più abile.
Per quella sera aveva un piano: un progetto diverso dal solito. Un'impre-
sa così ingegnosa, così perversa... A lui non risultava che fosse mai stato
fatto nulla di simile. Era una «creazione» fantastica e originale.
La parte più banale consisteva nel penetrare in un piccolo appartamento a
pianterreno alla periferia di Hartford.
Tagliò un pannello di vetro nella porta che dava sul loggiato, infilò la mano
nel buco, girò la maniglia e voilà:
eccolo all'interno.
Per un delizioso attimo ascoltò il respiro della casa. L'unico rumore che
riusciva a sentire era il fruscio del vento in mezzo a un folto di alberi che
incombevano sull'acqua, nera e immota, di uno stagno.
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