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Fu solo dopo la sua partenza che Emmanuelle si rese conto di non aver potuto
farle nemmeno una domanda. Se la bambina dalle trecce sapeva ormai tutto della
nuova amica, questa ignorava tutto di lei.
Aveva perfino dimenticato di chiederle se era vergine.
La sera, quando il marito, dopo aver fatto la doccia, entra nella camera, trova
Emmanuelle che lo attende, seduta a terra sui calcagni, nuda, ai piedi del gran letto
basso.
Ella gli circonda i fianchi con le braccia e gli prende in bocca la verga.
Dopo aver succhiato per qualche istante, l'asta si gonfia e si solleva.
Emmanuelle la fa scorrere tra le labbra finché non è durissima.
Poi la lecca su tutta la lunghezza, chinando la testa, premendo la vena azzurrina
che corre a fior di pelle e la cui congestione e il cui rilievo aumentano sotto il suo ba-
cio.
Jean le dice che sembra stia sgranocchiando una pannocchia di granturco ed ella
lo mordicchia coi piccoli denti per adattarsi a questo paragone.
Ma smette subito, aspirando dolcemente nella bocca la pelle satinata dei testico-
li; li solleva con le mani, fa scivolare sotto di loro la punta della lingua, accarezza u-
n'altra vena, si bea del sangue caldo che sente battere più forte al tocco delle labbra,
esplora sempre più intimamente, cerca, va, viene, risale bruscamente alla testa del
fallo, la spinge quasi in gola, tanto che per un attimo le pare di soffocare; e lì, senza
trarsi indietro, lo pompa con un movimento lento, irresistibile, mentre la sua lingua lo
circonda e massaggia.
Le braccia circondano le reni del marito, con una passione che cresce via via
che succhia più regolarmente la verga e che l'eccitazione delle labbra e della lingua si
comunica ai suoi seni, al suo sesso.
Sente colare tra le cosce strette un liquido abbondante come la saliva con cui sta
umettando nella sua bocca calda il membro apoplettico.
Per poter gemere di voluttà e lasciare che un orgasmo parziale la liberi e le per-
metta di continuare la fellazione, fa uscire per un istante il pene dalle labbra, senza
tuttavia smettere di accarezzare l'orifizio dischiuso con teneri colpi di lingua.
Poi inghiotte di nuovo il ponte di carne palpitante che li unisce.
Jean stringe tra le mani le tempie della moglie; ma non per guidare i suoi movi-
menti né per regolarne il ritmo. Sa che è meglio fidarsi di lei, lasciare che perfezioni
a modo suo il comune piacere.
Lo stile che darà a quest'abbraccio lo distinguerà ancora una volta da ogni altra.
Certe volte, Emmanuelle si diverte a far languire il marito: non si ferma su nes-
suna parte, scivola da un punto sensibile a un altro, strappa dalla gola della vittima
lamenti, preghiere di cui non si cura, lo fa trasalire, ansimare, lo spinge al delirio, fi-
no al momento in cui, con un ultimo gesto vivo e preciso, completa la sua opera.
Ma oggi vuole essere dispensatrice di più serena soddisfazione.
Senza stringere troppo la verga vibrante, aggiunge la pressione delle dita e il
movimento regolare della mano alla suzione delle labbra, applicandosi a liberare ar-
moniosamente l'organo del suo seme, a vuotarlo il più totalmente possibile.
Quando Jean s'arrende, inghiotte con lente sorsate la sostanza saporosa che è
riuscita ad estrarre dal fondo di lui; ma lascia che l'ultima stilla indugi sulla sua lin-
gua amorosa.
Manca così poco al suo orgasmo, basta che il marito le stringa il clitoride tra le
labbra perché il suo godimento sia raggiunto.
«Tra poco, ti prenderò,» egli dice.
«No, no! Voglio berti ancora una volta! Prometti! Promettimi che verrai di nuo-
vo nella mia bocca. Oh! Scorrerai ancora nella mia bocca, dillo, dillo, ti prego! È così
bello! Ti amo tanto!
«Le tue amiche ti hanno accarezzato bene come me, quando io non c'ero?» gli
chiede più tardi, mentre riposano insieme.
«Come potrebbe essere? Non ci sono donne che ti possano eguagliare.»
«Nemmeno le siamesi?»
«Nemmeno loro.»
«Non lo dici per farmi piacere?»
«Lo sai. Se tu non fossi la migliore delle amanti, te lo confesserei, per aiutarti a
diventarlo. Ma è vero, non vedo cosa ti resti da imparare. Ci deve pur essere un limi-
te, all'arte d'amare.»
Emmanuelle sembra sovrappensiero. «Non so.» Le sue sopracciglia s'aggrotta-
no. Il suono della voce dimostra che il dubbio è reale. «In ogni caso, io ne sono cer-
tamente ancora lontana!»
Jean protesta. «Che cosa te lo fa pensare?» Ella non risponde. Egli insiste: «Non
mi credi buon giudice?»
«Oh! sì.»
«Allora non un buon professore? Si direbbe che improvvisamente tu non sia più
soddisfatta della tua educazione amorosa. Forse non dovresti limitarti alle mie lezio-
ni.»
Ella s'affretta a rassicurarlo. «Caro! Nessuno al mondo poteva insegnarmi me-
glio di te. Ma è difficile da spiegare... Ho l'impressione che dev'esserci, in amore,
qualcosa di più importante, di più intelligente del semplice far bene.»
«Vuoi dire la dedizione, la simpatia, la tenerezza?»
«No, no! Mi riferisco a qualcosa che, ne sono certa, ha a che fare con l'amore fi-
sico. Ma questo non vuol dire che si tratti di conoscenze supplementari, né di una
maggiore abilità, né di più ardore: forse si tratta piuttosto di uno stato d'animo, una
mentalità.» Riprende fiato: «Non so, in fondo, se si tratta di un problema di limite, o
se non si tratta, piuttosto, di un problema di angolatura, di modo di vedere.»
«Un modo diverso di considerare l'amore?»
«Non soltanto l'amore. Tutto!»
«Non puoi spiegarti più chiaramente?»
Ella stringe le labbra, un po' afflitta, avvolge attorno alle unghie madreperlacee i
riccioli del suo vello, come per aiutare i propri pensieri a esprimersi.
«No,» conclude. «Non mi è chiaro. C'è certamente un progresso che devo fare,
qualcosa da trovare, qualcosa che ancora mi manca per essere una vera donna, la tua
vera donna. Ma non so cos'è!» Si rattrista: «Mi pareva di conoscere tante cose, ma
che cosa sono di fronte a quelle che ignoro?» Aggrotta la fronte, impaziente. «Per
prima cosa, devo diventare più intelligente. Lo vedi, non so niente, sono troppo inno-
cente. Sono troppo vergine stasera! Una pulzella dovunque, tutta munita di pulzel-
laggio: da vergognarsene!»
«Mio puro angelo!»
«Oh, no, non puro! Niente affatto puro. Una vergine non è necessariamente pu-
ra. Ma è necessariamente stupida.»
Egli la bacia, intenerito e incantato dai suoi discorsi.
Emmanuelle insiste «E necessariamente piena di pregiudizi.»
«Com'è adorabile sentirti lamentare della tua innocenza, subito dopo che le tue
caste labbra mi hanno ricevuto così bene!»
Ella si rasserena, ma è proprio convinta? «Ah! se è davvero di là che lo spirito
viene alle donne,» dice con un gran sospiro, «non voglio far passare un solo minuto
senza che tu me ne fornisca.» La frase produce su Jean un effetto che Emmanuelle
non tarda a scoprire; e già vuol realizzare la sua promessa, si alza e dardeggia la lin-
gua tra i suoi denti umidi...
Ma lo sposo la trattiene.
«E chi t'ha detto che lo spirito passa solo attraverso questa bocca? Ricordati:
soffia dove vuole.» Si corica su di lei, che ha subito voglia di essere presa.
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